Via istaminica per la terapia del Parkinson

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 29 aprile 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La malattia di Parkinson è ancora tra le patologie neurodegenerative più indagate dalla ricerca perché, nonostante gli aspetti fondamentali della fisiopatologia e della patogenesi siano ormai nozioni consolidate – basti pensare che già cento anni fa Brissaud individuò la substantia nigra quale sede della lesione[1] – rimangono ancora da chiarire molti aspetti dei meccanismi molecolari che portano alla genesi dei sintomi.

La patologia della malattia di Parkinson è associata alla disfunzione di vie neuromodulatorie multiple nei circuiti che collegano i nuclei della base encefalica con i sistemi dopaminergici troncoencefalici e gli altri sistemi neuronici che governano il movimento. Un aspetto molecolare meno indagato della disfunzione dipendente dalla progressiva perdita dei neuroni pigmentati della sostanza nera mesencefalica, del locus coeruleus e del nucleo motorio dorsale del vago, è la riduzione dei livelli di istamina nella parte mediale del nucleo pallido del lenticolare o segmento interno del globus pallidus (GPi), rilevata post-mortem nel cervello di pazienti diagnosticati della malattia. Le osservazioni fin qui condotte non hanno chiarito se i sistemi istaminergici dei cosiddetti gangli basali e la loro disfunzione abbiano un ruolo nei sintomi motori associati al Parkinson.

Jian-Ya Peng e colleghi hanno indagato l’attivazione dei recettori dell’istamina post-sinaptici H2 (col canale HCN2 associato) e l’attivazione dei recettori istaminici pre-sinaptici H3, ottenendo risultati interessanti.

(Peng J.-Y. et al., Ameliorating parkinsonian motor dysfunction by targeting histamine receptors in entopeduncular nucleus-thalamus circuitry. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2216247120, 2023).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurosurgery, Huashan Hospital, Shanghai Medical College, Fudan University, Shanghai (Cina); National Center for Neurological Disorders, Shanghai (Cina); State Key Laboratory of Brain Function Restoration and Neural Regeneration, Shanghai (Cina); State Key Laboratory of Medical Neurobiology, Institutes of Brain Science, Fudan University, Shanghai (Cina); Department of Physiology, School of Medicine, Nantong University, Nantong, Jiangsu (Cina); Department of Immunology, School of Medicine, Nantong University, Nantong, Jiangsu (Cina).

Si riporta qui di seguito una sintesi introduttiva alla malattia di Parkinson tratta da un nostro recente articolo di presentazione di un lavoro originale dello scorso mese di marzo[2].

In questo modo nel 1817 James Parkinson descrisse le caratteristiche sintomatologiche salienti del disturbo neurologico eponimo, allora definito “morbo”: movimenti involontari con carattere di tremore, accompagnati da diminuzione della forza, non rilevabili nelle parti del corpo a riposo e nemmeno in quelle sostenute; una tendenza alla flessione in avanti del tronco e a passare da una deambulazione normale a un passo di corsa, con conservazione delle facoltà intellettive.

A duecento anni di distanza questa descrizione clinica è sostanzialmente valida, anche se può essere integrata da elementi tratti da una più precisa semeiotica di osservazione: il tremore[3], ad esempio, è evidente nella mano ferma non trattenuta dall’altra mano o impegnata ad afferrare, e si distingue dal tremore di origine cerebellare che si accentua nello sviluppo intenzionale dell’azione; la conservazione delle facoltà intellettive è una caratteristica che bene si spiega sulla base di una degenerazione in gran parte confinata alla componente originata dalla parte compatta della sostanza nera del sistema nigro-striatale, ma l’associazione di un decadimento cognitivo che evolve in un quadro di demenza è meno rara di quanto si ritenesse un tempo[4].

Nella descrizione di James Parkinson manca un preciso riferimento alla tipica rigidità parkinsoniana che non è spastica, ma oppone solo lieve resistenza al movimento passivo, e perciò è detta in semeiotica neurologica rigidità cerea. A causa di questa resistenza, quando si mobilizza un’articolazione, ad esempio flettendo e estendendo l’avanbraccio sul braccio del paziente, si avverte una resistenza che poi cede, a piccoli scatti, come se nell’articolazione ci fosse una ruota dentata: è appunto il cosiddetto fenomeno della ruota dentata.

Manca anche nelle parole del medico londinese il riferimento alla tendenza statica con difficoltà all’avvio dei movimenti, convenzionalmente definita acinesia, e la lentezza esecutiva o bradicinesia. Si può ritenere che Parkinson, nel suo accostare lo stato neurologico del paziente a quello di una paralisi, avesse incluso rigidità, acinesia e bradicinesia. Con criteri neurologici che si andarono affermando alcuni decenni dopo e sono ancora adottati oggi, il termine “paralisi” è erroneo, anche se l’uso che ne aveva fatto il clinico inglese voleva sottolineare il contrasto mai descritto prima in neurologia tra uno stato di infermità motoria o deficit di motilità e le scosse del tremore, molto evidenti nei suoi pazienti. Per questa ragione intitolò il suo saggio An Essay on the Shaking Palsy. Quando nel 1841 Marshall Hall diede alle stampe il suo trattato Diseases and Derangements of the Nervous System, si levarono molte critiche alla sua denominazione della malattia paralysis agitans, critiche erroneamente rivolte ancora oggi da alcuni autori a Marshall Hall[5], il quale si era limitato a tradurre in latino il nome dato alla sindrome dallo stesso James Parkinson.

Fu il neurologo tedesco attivo presso il King’s College Hospital di Londra e co-fondatore del Maida Vale Hospital for Nervous Diseases, Julius Althaus, a introdurre la denominazione eponima di malattia di Parkinson. Nel gergo clinico si conservò a lungo, fino alla scoperta del deficit dopaminico e all’introduzione del precursore L-DOPA in terapia, il termine “morbo”, per indicare un’entità clinica di cui non si conoscevano eziologia e patogenesi.

Pierre Marie scoprì che uno dei segni precoci, quando ancora non sono evidenti quelli che abbiamo menzionato, è la rarità dell’ammiccamento: una persona che ancora non presenta lentezza, tremore degli arti superiori fermi e instabilità posturale, batte le palpebre meno del normale. Fisiologicamente noi battiamo le palpebre da 12 a 20 volte al minuto; nel paziente parkinsoniano la frequenza si riduce a 5-10 volte e può associarsi una lieve modificazione della rima palpebrale dovuta all’ipomimia dei muscoli facciali, con conseguente aspetto di colui che fissa qualcosa. La riduzione di tono e movimento dei muscoli del viso si accentua solo col progredire della malattia e, nelle fasi avanzate, conferisce un’espressione statica innaturale, che può giungere fino all’effetto “maschera”.

Rinviando ai trattati di neurologia per la descrizione dettagliata delle manifestazioni cliniche e alle trattazioni specialistiche per le espressioni sintomatologiche delle lesioni dei cosiddetti gangli basali, qui ci limitiamo a ricordare che le descrizioni classiche impiegate per decenni, come quella di Hoehn e Yahr (1967), con segni come l’andatura festinante, erano state elaborate prima dell’introduzione in terapia della L-DOPA.

La vecchia distinzione tra malattia di Parkinson e parkinsonismi, come il parkinsonismo post-encefalitico, abbandonata alcuni decenni fa, si sta nuovamente facendo strada, accanto all’evidenza sperimentale dell’esistenza di forme neuropatologiche differenti in termini genetici, istologici e biochimici. Ormai da tempo è emerso che, come per la malattia di Alzheimer, esistono forme monogenetiche rare e forme comuni e frequenti ad eziologia multifattoriale, ossia causate da interazione tra fattori ambientali e fattori genetici. Conservando la categoria unica si riporta, ad esempio, un’età di esordio che va dall’età giovanile a oltre l’ottava decade, magari specificando che è rara prima dei 30 anni, e precisando che il maggior numero di casi si ha tra i 45 e i 70 anni[6]. In realtà, se si escludono i casi familiari di certa o probabile origine monogenica, l’esordio in molte casistiche è più spesso poco oltre i 60 anni.

Si riporta qui di seguito qualche cenno sulle prime acquisizioni di genetica del Parkinson, ricordando che una parte considerevole dei risultati delle nuove ricerche è stata da noi riportata nelle numerosissime recensioni di lavori originali proposte in questi anni nelle “Note e Notizie” del sito.

Nel 1997 una mutazione missense (A53T) nel gene SNCA dell’α-sinucleina fu identificata quale causa di malattia di Parkinson familiare, ereditata come un carattere mendeliano dominante e caratterizzata da una patologia a corpi di Lewy (Polymeropoulos et al., 1997). Successivamente, altre due mutazioni missense (A30P; E46K) furono identificate in famiglie con malattia di Parkinson e demenza a corpi di Lewy[7]. Complessivamente, tre mutazioni autosomico-dominanti quali causa ereditaria. Altre mutazioni autosomico-dominanti furono poi trovate nel gene LRRK2 (a.k.a. PARK8 codificante la leucine-rich repeat kinase 2) e oggi, che sono state trovate molte decine di mutazioni in questo gene, si considerano la causa più comune di malattia di Parkinson familiare. Sia SNCA che LRRK2 presentano molti polimorfismi comuni che esercitano effetti di rischio altamente significativi per le forme geneticamente complesse di malattia di Parkinson.

Le prime forme genetiche di malattia di Parkinson ad eredità autosomica-recessiva sono state identificate in tre geni: PARK2, che codifica l’ubiquitina-ligasi parkina, PINK1 e PARK7.

Oltre questi cinque loci genici, sedi di mutazioni causanti forme a eredità mendeliana, sono stati individuati numerosi altri loci per le forme familiari di malattia di Parkinson. Infine, vi sono gli studi di genetica delle forme ad ereditarietà multifattoriale[8].

Dopo questi cenni storici, patologici e genetici, possiamo ritornare al lavoro che ha indagato il ruolo delle componenti istaminergiche nella genesi dei sintomi.

Lo studio di Peng e colleghi evidenzia che l’attivazione dei recettori istaminergici post-sinaptici H2, con i recettori accoppiati HCN2, dei neuroni parvalbumina (PV) del nucleo endopeduncolare (EPNPV) regolarizza i pattern di scarica migliorando i parametri di disfunzione motoria associati al parkinsonismo nei modelli sperimentali; mentre l’attivazione dei recettori H3 presinaptici nei neuroni glutammatergici del nucleo subtalamico (STN), che proiettano al nucleo EPN, migliora le alterazioni motorie del parkinsonismo riducendo la frequenza di scarica dei neuroni EPNPV.

Ma, consideriamo più in dettaglio lo studio.

La perdita dei neuroni segnalanti mediante dopamina della parte compatta della sostanza nera mesencefalica, che inviano assoni allo striato, determina un crollo del livello di dopamina striatale: le manifestazioni cliniche di parkinsonismo emergono quando si è perso il 70% della dopamina striatale, che corrisponde alla morte cellulare del 50% dei neuroni della sostanza nera; accanto ai sintomi motori si ha anche l’alterazione dei pattern di scarica dei neuroni dei nuclei dello striato. Non vi è accordo nell’interpretazione dei dati emersi dagli studi pregressi, circa il fatto che l’alterazione della frequenza di scarica e dello schema di configurazione dell’attività sia o meno la causa dei sintomi motori e dell’insieme delle caratteristiche cliniche della malattia di Parkinson e dei parkinsonismi.

Peng e colleghi, in un modello sperimentale murino della malattia, rilevano e dimostrano che un’accresciuta innervazione istaminergica del nucleo endopenduncolare (EPN) causa l’attivazione di neuroni identificati in base alla positività alla parvalbumina (PV), che proiettano al nucleo motorio talamico via canali HCN (hyperpolarization-activated cyclic nucleotide-gated) accoppiati con i recettori istaminergici H2. L’osservazione sperimentale ha mostrato che, simultaneamente, questo effetto è negativamente regolato dall’attivazione dei recettori presinaptici H3 dell’istamina nei neuroni eccitatori glutammatergici del nucleo subtalamico (STN) che proiettano al nucleo EPN.

Elemento rilevante è che l’attivazione di entrambi i tipi di recettore istaminico migliorava in modo significativo, evidente e rilevante la disfunzione motoria associata al profilo parkinsoniano del modello.

L’attivazione farmacologica dei recettori H2 o l’accresciuta espressione genica (upregulation) dei canali associati HCN2 nei neuroni EPNPV, che riduce le raffiche di scarica dei neuroni, migliora la disfunzione motoria associata al parkinsonismo, indipendentemente dai cambiamenti nella frequenza di scarica dei neuroni. Inoltre, l’inibizione optogenetica delle cellule EPNPV e l’attivazione farmacologica o l’up-regulation genetica dei recettori istaminici H3 nei neuroni glutammatergici di STN che proiettano a EPN migliorano la disfunzione motoria associata al parkinsonismo, riducendo la frequenza di scarica piuttosto che modificando la configurazione del pattern dei neuroni EPNPV.

Su questa base, sebbene un ridotto tasso di scarica e un pattern più regolare dei neuroni EPNPV correli con miglioramenti della disfunzione motoria associata al parkinsonismo, la frequenza di scarica risulta essere più critica in questo contesto.

Questi risultati confermano anche che individuare come bersagli farmacologici i recettori H2 e il suo canale a valle HCN2 nei neuroni EPNPV e i recettori H3 nei neuroni STNGlu può costituire una strategia terapeutica futura per il trattamento della disfunzione motoria nella malattia di Parkinson e nei parkinsonismi.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-29 aprile 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Tretiakoff (1921) e poi Foix e Nicolesco (1925) condussero studi sul rapporto tra lesioni mesencefaliche e malattia di Parkinson; Brissaud in quegli anni indicò la sostanza nera quale sede della lesione, ma per una precisa analisi del danno neuropatologico del tronco encefalico si deve attendere il 1953 (Greenfield e Bosanquet). Si ricorda che già nel XIX secolo (James Parkinson descrisse la malattia nel 1817) si impiegavano in terapia gli anticolinergici.

[2] Note e Notizie 25-03-23 Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson.

[3] Nella maggior parte dei pazienti la frequenza del tremore è stimata in 4-5 scosse al secondo, ma in alcuni appare più rapida e raggiunge le 7-8.

[4] Note e Notizie 02-07-11 Origine delle oscillazioni beta patologiche nel Parkinson.

[5] Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.

[6] Cfr. Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), p. 1082, McGraw-Hill 2014.

[7] I corpi di Lewy sono costituiti da α-sinucleina mutata.

[8] Note e Notizie 25-03-23 Dopamina e apprendimento motorio nel Parkinson; v. anche Note e Notizie 04-02-23 Nuovo modo di diffusione della sinucleina in Parkinson e sinucleinopatie.